Un po' di storia
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Archeologia e storia del territorio di Miglionico
di Francesco Caputo
Posto sulla sommità di un crinale che delimita uno dei numerosi bacini secondari con fluenti nel fiume Bradano, Miglionico è un centro abitato sviluppatosi nella configurazione attuale tra il sec. XI e XVII su un sito già occupato da popolazioni indigene fin dal VIIII sec. a.C. Gli scavi e le ricerche archeologiche, pur non condotte su vasta scala ed effettuati spesso in seguito a saltuari e sporadici ritrovamenti, consentono, tuttavia, di delineare una ipotesi di localizzazione e di sviluppo degli insediamenti umani succedutesi nelle adiacenze e sulla collina occupata dal centro abitato attuale.
Già dalla fine del secolo scorso gli storici locali segnalavano numerosi ritrovamenti di tombe isolate e necropoli sopratutto all'interno dell'area circoscritta dal centro storico, sul pianoro adiacente la via Lucana, allora in costruzione, e nei pressi del cimitero e della cava S. Rocco. Le imprese costruttrici, sbancando i pendii, avevano manomesso un vasto sepolcreto in seguito scavato ed indagato negli anni trenta, ma già nel 1811 la necropoli adiacente il cimitero era stata in parte scavata su indicazione dell'allora Intendente di Basilicata, ma dei ricchi corredi ben presto se ne persero le tracce. Nel 1847 altri ritrovamenti, nella medesima area e nel centro storico, procuravano al Sottintendente di Matera, Nicolo Jeno de' Coronei un gran quantitativo di terrecotte e oggetti bronzei, in parte descritti dal Ricciardi, il quale segnala anche una tomba rinvenuta nel centro storico in un sito non meglio indicato con un corredo di trenta vasi, un'armatura e monili in oro, ed altre sepolture venute alla luce nella zona immediatamente antistante l'ingresso del castello.
I reperti in possesso del museo Ridola a Matera, provengono ancora una volta dalla necropoli limitrofa al cimitero, da un'area sottostante il castello, dalla ex cava S. Rocco e da una zona non meglio precisata adiacente Porta e Piazza S. Sofia. I reperti di maggior interesse sono un pendaglio equestre in bronzo fuso secondo schemi e modelli delle culture japodo-liburniche della sponda balcanica dell'Adriatico, e databile al VII sec. a.C.: una fibula bronzea e una cuspide di lancia entrambe databili alla prima metà del VI secolo; resti di vasellame attico attribuiti al pittore ateniese Lydos, databili al 550 a.C. e ritenuti tra le più antiche testimonianze nella valle del Bradano dell'attività del ceromografo attico e due manici antropomorfi bronzei di patera, di cui una con iscrizione tarantina relativa alla donna di famiglia patrizia che ha posseduto l'oggetto. Dalla necropoli della cava di S. Rocco proviene un elmo bronzeo di tipo corinzio rinvenuto in una sepoltura di un guerriero enotrio databile alla seconda metà del V sec.; nella zona di S. Sofia si segnala il ritrovamento di punte di lance in ferro e fibule metalliche, dalla vasta necropoli adiacente il cimitero proviene una statuetta votiva in bronzo rappresentante Heracles e datata al V sec. a.C., mentre il Ricciardi ricorda il ritrovamento nell'oliveto Stancarone di sepolture e resti di un edificio sacro.
La natura e la localizzazione dei reperti consentono di ipotizzare sulla collina di Miglionico e nelle immediate adiacenze, l'esistenza di più nuclei abitati, forse insediamenti agricoli sparsi, e di un centro di dimensioni maggiori sul sito attualmente occupato dal perimetro della città medioevale. I ritrovamenti sono maggiori nelle aree periferiche del paese, perchè non edificate, mentre i resti dell'insediamento urbano vero e proprio sono stati inglobati ed alla fine cancellati dalla millenaria stratificazione degli edifici del centro storico, ma nonostante ciò, ancora nel secolo scorso e negli anni del primo dopoguerra, in occasione di lavori per la sistemazione di strade, e di ristrutturazione di edifici, si segnalavano importanti rinvenimenti al castello, a S. Sofia e nelle cantine di alcune abitazioni. La conformazione a nuclei sparsi adiacenti un abitato di più consistenti dimensioni, è comune, nella struttura insediativa, ai centri abitati limitrofi ed in particolare Pomarico, Irsina, Matera, Montescaglioso e Timmari che con Miglionico condividono le caratteristiche del sito, i rapporti con la costa mediati dalle direttrici di crinale e l'apporto culturale dell'area pugliese e jonica.
Le ceramiche e i corredi delle sepolture rinvenute, permettono di datare i primi insediamenti umani sulla collina di Miglionico intorno al VIII sec. a.C: le popolazioni insediate nella area come nel territorio e negli abitati limitrofi sono essenzialmente enotrie con un forte apporto culturale della vicina urea apula che lungo il Bradano e verso la costa jonica trova a Taranto il centro propulsore di una civiltà che, ricca di influenze elleniche, è destinata, a partire dal V-IV sec. a.C. a prevalere in tutto il territorio circostante.
Il variegato mondo indigeno agli albori della colonizzazione greca, che trova nella fondazione di Siris nel VII sec. a.C. il primo elemento di una penetrazione destinata a cambiare il volto e l'evoluzione delle civiltà locali, ha i punti di forza negli insediamenti collinari del retroterra jonico e nell'area bradanica i centri maggiori sono a Cozzo Presepe, Montescaglioso, e qui vicino, nell'insediamento di Difesa S. Biagio, a Pomarico ed in particolare nei pressi del borgo medievale abbandonato e a Castrum Jugurii, a Miglionico e a Timmari. Il ritrovamento a Miglionico di sepolture indigene datate al VII sec. a.C. ancora con inumazione rannicchiata, documenta il persistere in tutta la valle di usanze e tradizioni di lontana origine neolitica ma già un secolo più tardi la rete dei rapporti è molto più ampia ed è indirizzata anche verso le sponde adriatiche con importazioni provenienti dalla penisola balcanica alla cui cultura japodica-liburnica è collegabile il bronzetto equestre di Miglionico.
Lo sviluppo di Metaponto e la ripresa dell'importante colonia greca di Heraclea sorta dopo la decadenza e la scomparsa di Siris, spingono la colonizzazione e una efficiente rete infrastrutturale verso l'interno dei fondovalli e dei terrazzamenti collinari, permettendo una stabilizzazione dei rapporti con le popolazioni indigene del retroterra e l'attivazione di consistenti scambi commerciali. A Miglionico il contatto con le colonie greche della costa è documentato dal diffondersi di ceramiche attiche databili intorno al 550 a.C. e provenienti da Metaponto o Taranto e attribuiti al ceromografo ateniese Lydos di cui questa produzione, frammenti di anfora a figure nere del tipo a collo distinto rappresentante la premiazione di atleti, è ritenuta tra le più antiche rinvenute nell'ambito territoriale jonico-bradanico. Confermano i rapporti con la cultura magno-greca di Taranto e Metaponto, i tre manici antropomorfi di patera in bronzo, databili al 550-540 a.C, anch'essi di importazione attica di cui uno recante l'incisione del nome gentilizio della proprietaria che le caratteristiche della scrittura indicano di origine tarantina e la Kylix attica con scene dionisiache a figure nere del Pittore di Haimon, ceromografo attico operante a cavallo dei sec. VI e V a.C, provenienti dagli scavi nell'area attigua al cimitero. L'ampia rete di rapporti economici e di apporti culturali nell'ambito della civiltà magno-greca, nella quale sono inserite le popolazioni indigene insediate sulla collina di Miglionico, è documentata anche dalla ricca monetazione rinvenuta a più riprese nel secolo scorso e purtroppo interamente interamente dispersa, proveniente oltre che dai centri greci più vicini, Taranto, Metaponto ed Heraclea, anche a Sibari, Crotone e Caulonia mentre contatti con culture e popolazioni oscosabelliche sono documentate dalla statuetta bronzea di Heracles datata alla metà del V sec. e rinvenuta nei pressi della statale per Potenza. I rapporti dei nuclei abitati sulla collina di Miglionico, come anche quelli dei centri limitrofi con il mondo magno-greco dello Jonio rendono l'intera area del basso Bradano parte partecipe ai sommovimenti demografici, politici e militari tra il IV e il III sec. a.C. con il confronto diretto tra le colonie greche della costa e le popolazioni lucane di origini sanniti che installatesi in tutti i centri dell'entroterra. Nonostante il ricorso delle città greche ad aiuti e condottieri provenienti dall'altra sponda dello Jonio e il patto militare che lega tutti i centri greci in difesa del nemico comune, la pressione delle popolazioni lucane segna la fine del delicato equilibrio instauratosi tra colonie e centri indigeni con la conseguente decadenza di molti centri costieri soprattutto nell'area metapontina. In queste condizioni l'asse dei rapporti commerciali e culturali si sposta in direzione delle valli dell'Agri e del Sinni ed in particolare di Heraclea divenuta, tra l'altro, sede della Lega Italiota dopo la caduta di Crotone nelle mani di Siracusani, con la conseguente emarginazione di tutto il fondovalle bradanico e dei crinali circostanti. Nei confronti delle popolazioni lucane, le città magno-greche sconfitte sul campo dalla superiorità militare degli avversari, ben presto esercitano una sorta di egemonia culturale che porta alla progressiva integrazione tra le due etnie. A Miglionico l'ellenizzazione dell'elemento lucano è documentata dai, ricchi corredi funerari tra cui una Pelike e un'Hydria apule in argilla rosea e decorazioni nere, ambedue datate tra il 340 e il 330 a.C. recuperati durante gli scavi del 1911.
La conquista romana della Magna Grecia, segnata dalla fondazione delle prime colonie latine a Venosa, dalla presenza di presidi romani nella valle del Crati, dalla latinizzazione di Grumento, dal patto federativo tra Heraclea e Roma ed infine dalla conquista di Taranto, accentua il processo di decadenza dei centri costieri ampliando invece il ruolo dei centri abitati situati lungo la direttrice dell'Agri e della via Appia. Si accentua anche il processo di spopolamento delle campagne sconvolte dalle guerre, prima lo scontro con Taranto, poi con Cartagine ed infine la guerra sociale nell'ultimo periodo repubblicano, interessate da un ampio fenomeno di riorganizzazione economica nel quale il peso del latifondo agricolo è sempre più rilevante. Le popolazioni si concentrano nei nuclei abitati maggiori e si forma il sistema dei borghi i collinari che prefigura il sistema insediativo ed infrastrutturale stabilizzatosi nell'alto medioevo e giunto, infine, all'epoca moderna senza tanti stanziali modifiche.
All'interno di questo complesso processo, Miglionico accentua le proprie caratteristiche di insediamento collinare predisponendo le basi del futuro sviluppo del borgo alto medioevale: in epoca tardo imperiale probabilmente i nuclei esterni al centro maggiore si spopolano e sono abbandonati mentre la popolazione concentra sull'estremità nord-occidentale della collina dove si svilupperà il borgo documentato nel periodo normanno.
Il centro abitato dal secolo XI al XVIII
La riconquista bizantina dei territori lucani e pugliesi alla fine del IX sec, partita dai capisaldi costieri in terra di Bari e nel Salento, rimasti in mano greca anche dopo l'espansione del Ducato Longobardo di Benevento in direzione sud, agli inizi dell'VIII sec., e spintasi fin oltre la valle del Sinni, segna la riorganizzazione amministrativa ed ecclesiastica dell'area con la costituzione del Tema di Longobardia prima, del Tema di Lucania dopo, e la sottomissione delle chiese lucane, gli episcopati di Matera, Acerenza, Tricarico e Tursi al Metropolita orientale di Otranto ribadita dal documento imperiale del 962.
Con la conquista normanna, a partire dai primi decenni del secolo XI, e il riconoscimento al Guiscardo del possesso dei nuovi territori sancito dal Concilio di Melfi nel 1059, la Basilicata sarà infeudata alle maggiori famiglie normanne mentre le sedi vescovili, latinizzate e ricondotte sotto l'autorità del Pontefice Romano, sono rese suffraganee dell'arcivescovo di Acerenza assurto a metropolita dell'intera area lucana. Con l'assegnazione dei territori ai maggiori esponenti dell'etnia normanna, Matera è infeudata alla famiglia dei Loffredo mentre l'intera bassa valle del Bradano e Basento con un territorio esteso fino a Pisticci, Stigliano e Tricarico, all'interno del quale rientrano anche i centri abitati di Pomarico, Miglionico, Camarda e Torre a Mare, l'antica Metaponto, dipendono della Contea di Montescaglioso infeudata ai Macabeo.
Tra i centri abitati altomedioevali della bassa valle del Bradano, Miglionico è l'unico ad occupare un sito di notevole importanza grazie alla vicinanza con la direttrice della via Appla, ma nonostante ciò il ruolo del paese fino a tutto il XIV sec. è circoscritto ad un ambito territoriale molto limitato, differentemente dagli abitati limitrofi di Montepeloso, Tricarico e Montescaglioso che, sedi di vescovi e abbazie benedettine, riescono invece a svolgere un ruolo esteso ad un'area più vasta. In epoca normanna l'abitato fortificato occupa l'area occidentale dell'attuale centro storico sul sito più alto della collina dominante i percorsi stradali in direzione di Grottole, Pomarico e del fondovalle, ed è circoscritto alle zone di S. Angelo, S. Nicola, e S. Giacomo con un fortilizio edificato sul sito poi occupato dal seicentesco Palazzo Corleto e gli accessi nella cinta fortificata in direzione della Chiesa Madre e in fondo all'attuale via S. Giacomo. L'insediamento ha un andamento circolare parallelo al pendio della collina con un percorso di crinale che collega l'area fortificata dell'estrema propaggine occidentale al varco nel perimetro delle mura. Lungo l'asse urbano si aprono numerosi vicoli perpendicolari, si localizzano le residenze più importanti e l'antica chiesa di S. Nicola dei Greci, oggi non più esistente, situata esattamente al centro del borgo. L'ipotesi è suffragata anche dall'orientamento della Chiesa Madre che, primo e più importante nucleo di espansione extra-moenia del centro altomedievale, è costruita, a partire dalla metà del XIV sec, con l'ingresso rivolto verso il probabile accesso della parte più antica dell'abitato ma quando a metà del XVI sec. lo sviluppo del paese avrà ormai saturato le altre aree, Torchiano, S. Sofia e Castello, sarà necessario aprire un'altro ingresso monumentale, sotto il campanile, in direzione del nuovo centro cittadino. L'abitato altomedioevale, si consolida in epoca normanna ed è raggruppato intorno alla chiesa di S. Nicola dei Greci, la cui dedicazione tradisce l'origine tardo bizantina del tempio mentre al sito del seicentesco palazzo Corleto, dove era localizzato un'area fortificata interna al borgo più antico si potrebbe riferire, qualora si trattasse di Miglionico, la notizia, dalla cronaca di Romualdo Salernitano, della edificazione di un 'castellum' da parte di un Conte Alessandro negli ultimi decenni del sec. XI.
Rispetto ad altri abitati limitrofi, il territorio del paese si distingue per un forte accentramento della popolazione nel centro maggiore e, alcuni casali nelle campagne, uno nei pressi del Bradano e un'altro nei pressi della cappella di S. Vito ancora abitati verso la fine del XIV sec., non avranno mai il peso e il ruolo assunto nei territori di Grottole e Pomarico dai nuclei fortificati di Altojanni, Castrum Jugurij, Picoco e S. Maria del Piano. Sempre in epoca normanna, verso la metà del sec. XII, il catalogo dei Baroni individua Miglionico come uno degli abitati appartenenti al Comitatus Montis Caveosi infeudato, fin dalla metà del secolo precedente, alla famiglia Normanna dei Macabeo che, tramite la contessa Emma moglie, del Comes Rodolfo, è direttamente imparentata al Guiscardo, e poi, dopo il 1120, dominio diretto dei Principi di Taranto, quale territorio assegnato a Boemondo, figlio del Guiscardo e di Albereda prima consorte del Duca. Il Catologo dei Baroni assegna Miglionico, quale suffeudo della contea di Montescaglioso, ad un nipote dell'Arcivescovo di Acerenza il quale contribuisce alla formazione dell'esercito regio con quattro militi aumentati ad otto con l'ultima imposizione. Questa circoscrizione feudale nella quale rientrino oltre a Miglionico anche gli abitati di S.Mauro, Salandra, Accettura, Pomarico, Craco, Montalbano e Pisticci, resta in buona parte invariata fino alla seconda metà del secolo XIII, quando la rioeganizzazione militare del meridione, consegna alla definitiva instaurazione della monarchia angioina dopo l'ultima rivolta a favore degli Svevi tra il 1265 e il 1269, assegna alle piazzeforti più importanti del Regno o appartenenti al demanio della Curia, le rispettive guarnigioni militari e alle popolazioni limitrofe gli oneri connessi alla manutenzione e agli approvvigionamenti. Nel 127I nel territorio nell'antico Comitatusd Montis Caveosi la Curia regia elenca i castelli di Petrolla presso Pisticci, Montalbano, Policoro, Torre a Mare adiacente all'antica Metaponto e Montescaglioso. Alla manutenzione del castello e all'approvvigionamento della guarnigione di quest'ultimo centro devono provvedere gli abitanti di S. Mauro, del Casale di S. Giovanni presso Tricarico, di Uggiano e gli abitanti di Miglionico che in questo scorcio del XIII secolo assommano a circa 1500 persone, censiti dalla tassazione focatica del 1277 in 277 fuochi, ovvero nuclei familiari, i quali pagano alla Curia Regia 69 once. La partecipazione di Miglionico agli oneri per la manutenzione del castello di Montescaglioso, induce ad escludere, per quest'epoca, l'esistenza, nel paese, di una roccaforte delle dimensioni e dell'importanza dell'attuale castello: se così fosse gli abitanti sarebbero stati obbligati alla manutenzione di questa struttura come nel caso di Montalbano la cui popolazione provvede alle esigenze della guarnigione e del castello del proprio paese. Questo però non implica la Utenza di una struttura fortificata in quanto l'imposizione fiscale è relativa alle sole fortificazioni demaniali che ospitino guarnigioni stabili.
Le condizioni degli abitati lucani negli ultimi decenni del secolo XIII, dilaniati dalla guerra che ha opposto gli Svevi agli Angioini e i fautori dell'imperatore ai sostenitori del papato, sono tali da indurre molti abitati tra Melfi, Grottole e Miglionico ad intercedere presso il Sovrano per ottenere consistenti sgravi fiscali che consentano la ripresa di una normale attività economica e soprattutto il ripristino, nelle campagne e nei nuclei rurali investiti da un preoccupante processo di abbandono, della sicurezza e delle condizioni di vita necessarie al ritorno degli abitanti.
A metà del XIV secolo il clero secolare di Miglionico che nel 1310 e nel 1324 contribuisce alla raccolta delle decime per la S. Sede con 24 once d'oro, inizia la costruzione della Chiesa di S. Maria Maggiore sui resti di una piccola cappella, S. Salvatore, situata nelle immediate adiacenze del perimetro murario. La nuova chiesa è al centro di un'area dove nei decenni successivi si svilupperanno i nuovi quartieri del paese e nella quale convergono le direttrici delle espansioni urbane trecentesche e quattrocentesche costituite dai percorsi diretti verso il pianoro del Torchiano, verso il sito dove sorge il castello e dalla strada diretta nella valle del Bradano, attraverso S. Sofia, lungo la quale più tardi sorgerà la chiesa della Madonna delle Grazie. Contemporaneamente la costruzione del castello ad opera della famiglia Sanseverino innesca un meccanismo più ampio concluso, tra la fine del XIV e la metà del XV sec, dall'allargamento della cinta muraria che ingloba il vecchio centro medioevale e i quartieri di più recente costruzione.
All'interno del nuovo perimetro i capisaldi urbani sono rappresentati dal borgo altomedioevale raccolto intorno alle chiese distrutte di S. Nicola dei Greci e S. Giacomo, dalla Parrocchiale, dalla chiesa di Mater Domini al Torchiano e dal convento dei frati francescani a Porta S. Sofia, la cui bolla di fondazione risale al 1439.
Nei decenni successivi Miglionico conosce un significativo sviluppo economico e sociale favorito anche da un vivace clima che vede il clero secolare della Colleggiata esercitare una sorta di primato culturale e il ceto professionale e possidente conquistare una parvenza di autonomia politica con attribuzioni e ruoli sempre più significativi conquistati dalla Uni¬versità, quale soggetto amministrativo sempre attento a controbattere pretese e imposizioni del feudatario e ad invocare la autorità regia quale garanzia e limitazione dello strapotere baronale. In questo scorcio di secolo sarà completata la nuova cerchia fortificata e all'interno della città saranno realizzati i primi interventi di rinnovo urbano legati all'ascesa di alcune ricche famiglie che edificano le pro¬prie residenze cittadine, quale palazzo Petito e palazzo Ventura-Aspriello terminati nella metà del cinquecento. La formazione di consistenti patrimoni fondiari appartenenti ad alcune ricche famiglie, a Miglionico, diversamente dai centri vicini, Matera, Montepeloso, Montescaglioso, Tricarico e Pomarico, è favorita dalla mancanza di un esteso patrimonio ecclesiastico e dall'assenteismo del feudatario. Questi affida la procura per l'amministrazione dei beni a potenti personaggi locali che lucrano e approfittano dell'incarico ricevuto per formare cospicue rendite e fortune personali che investono nell'acquisto, direttamente dal Principe, di feudi e titoli. Esemplare da questo punto di vista la vicenda della famiglia Putignani a Tricarico: ramificata in alcuni paesi della zona e già legata ai Sanseverino nel 1500, si arricchisce amministrando i feudi sanseverineschi ed accumula un notevole patrimonio a Craco e a Miglionico dove più tardi si estingue.
In questo contesto gli eventi del 1485 e 1486 con i congiurati riunitisi a Miglionico, situata in prossimità della via Appia, al limite orientale dei territori dei Sanseverino e al limite occidentale dei possessi dei Del Balzo, e il cruento esito della rivolta comportano per il paese la temporanea fine del possesso dei Sanseverino. Nel 1488 Camilio Mauro di Napoli precettore di Basilicata ed appositamente delegato da re Ferdinando a liquidare tutti i patrimoni dei baroni ribelli, vende all'Università di Miglionico i beni che il Sanseverino possedeva nel paese ma ben presto l'antico feudatario è reintegrato nel possesso: nell'agosto 1496 il monarca consentiva la re-immissione del Sanseverino negli antichi feudi e nel settembre successivo Pietro Riccio di Montalto, procuratore del principe prendeva possesso del Castello e della terra di Miglionico. I Sanseverino, se pur nuovamente proprietari del Castello e del titolo, riuscivano a veder riconosciuti interamente i propri diritti sul paese solo qualche decennio più tardi. Nell'aprile del 1533 l'erario del Principe riacquisiva i diritti sulla Bagliva di Miglionico e nell'Agosto del 1543 con apposita platea rogata da Notar Mattia de Landò di Cava era reintegrato in tutti i beni posseduti nel territorio e nel paese. La presenza del Sanseverino a Mi glionico, però, non andava, oltre i primi decenni del XVII sec. quando nel 1624 il posses¬so del paese passava alla famiglia Revertera che nel 1544 aveva acquistato i titoli relativi al possesso di Salandra e nei decenni successivi riuscivano ad estendere il patrimonio nei paesi limitrofi. Sempre nel 1624 i Revertera ottenevano dal Duca d'Alba l'assenso all'acquisto e l'anno successivo l'ordine alla popolazione di Miglionico di prestare l'assicurazione feudale al nuovo proprietario che nel 1629 e 1630 acquistava da Filippo Grimaldi, G. Battista Imperiale, Luciano e Antonio Spinola alcuni diritti da questi vantati sull'Università e saldava a G.B. Gattini, cantore della cattedrale di Matera, un debito contratto dal feudatario precedente, il barone Marcello Nigro.
Tra la fine del XVI e gli inizi del XVII sec. si consolidano a Miglionico come negli altri centri del regno i poteri delle Università a scapito delle prerogative feudali d'altra parte già mortificate dai colpi inferti dalla monarchia aragonese. A Miglionico l'Università dopo la cacciata dei Sanseverino aveva acquistato dalla Curia Regia alcune prerogative che a causa del forte indebitamento aveva poi dovuto cedere ai successori del Sanseverino e infine erano pervenute ai Revertera con l'acquisto del 1624. Le Università si oppongono, spesso strenuamente, alle pretese dei feudatari che mercificano gabelle e diritti vantati sulle popolazioni locali per realizzare rendite ottenute con l'affitto delle imposizioni fiscali a privati i quali si rivelano estremamente esosi nei confronti delle comunità. Se già nel 1358 Ruggero Sanseverino aveva dovuto concedere alla popolazione il diritto di pascolo, nel 1494 Alfonso I dopo la cacciata del feudatario, maggior ispiratore della rivolta del 1485, aveva confermato all'Università i capitoli, le grazie e i privilegi precedentemente concessi da re Ferrante e ribaditi da Berardino Sanseverino nel 1498 e da Alfonso Sanseverino, Luogotenente di Pietrantonio Principe di Bisignano dopo le richieste fatte dal Sindaco e dagli eletti di Miglionico nel 1517.
Il possesso di Miglionico passato ai Revertera segna qui, come negli altri centri del meridione, l'ascesa politica di famiglie estranee alle vicende storiche locali degli ultimi decenni ma legate ad un ceto mercantile e professionale con notevoli possibilità economiche che in tutti i paesi del regno va sostituendo l'antica feudalità guerriera i Sanseverino, gli Orsini, i Dal Balzo, con gruppi sociali che devono la propria potenza ad una lunga pratica del commercio, al potere acquisito nell'amministrazione dello Stato o negli incarichi regi ricoperti e alle rendite provenienti dal possesso di cospicui capitali che sono investiti nell'acquisto di feudi o di appalti per la riscossione di gabelle e altre imposizioni fiscali. A Tricarico e nel Senisese l'antico feudo sanseverinesco è acquistato dai Pignatelli, a Montepeloso il feudo appartenuto da secoli ai Del Balzo è acquistato dalla famiglia Grimaldi e a Montescaglioso dai Grillo e dai Cattaneo dopo, tutte ricche famiglie mercantili di origini genovesi. Parallelamente si estende e cresce un ceto locale di professionisti, possidenti, notai, gabellieri, prelati e massari capaci anche di investire cospicui capitali nelle attività agricole e un largo ceto di piccoli proprietari che coltivano con l'ausilio della famiglia numerosi appezzamenti di terreno spesso affittati dal feudatario o dai maggiori possidenti.
A Miglionico sono questi strati della popolazione a realizzare, tra la metà del seicento e i primi decenni del secolo successivo, un esteso processo di rinnovo ed espansione urbana sul tessuto più antico e fatiscente trasformato da ristrutturazioni e sopraelevazioni. Si edifica anche nelle aree rimaste libere all'interno il perimetro fortificato che per l'accidentata orografia del sito non consente un sicuro ed economico intervento fuori le mura le quali In alcuni tratti, crollate o demolite sono sostituite da aggregazioni di abitazioni a schiera a più piani e collegate alle parti superstiti della cinta. Si evolvono anche i materiali e le tecnologie costruttive: in sostituzione del pietrame non squadrato scavato sulle pendici della collina, si diffonde l'uso del cotto prodotto da piccole fornaci locali e del tufo cavato dai vicini banchi del Bradano e della Murgia e si estende l'uso di coperture a volta in sostituzione dei tradizionali orizzontamenti in legno. Le tipologie residenziali, tradizionalmente costituite da aggregazioni di vani a schiera, si sviluppano in complessi maggiormente articolati: se le vecchie abitazioni con copertura a canne e i tuguri dei piani interrati e seminterrati restano appannaggio degli strati più miserevoli della popolazione, i piccoli e medi proprietari edificano case soprane spesso servite da un ballatoio esterno; mercanti, professionisti e grandi proprietari usano abitazioni a cortile con cantine, stalle e depositi al pianterreno e la residenza al piano superiore.
Le famiglie nobili, invece, edificano i grandi palazzi urbani dove si ricerca non solo un'adeguata distribuzione delle funzioni ma anche una esplicitazione del ruolo e della posizione acquisita, evidenziata dalla ricercatezza delle partiture architettoniche e dalla composizione di facciate monumentali arricchite da portali, stemmi, trabeazioni e timpani ed altri schemi decorativi ormai facenti parte di un repertorio edilizio collaudato e appannaggio di una non vasta cerchia di lapicidi e mastri muratori. Alla fine del seicento gli interventi più significativi sono rappresentati dalla trasformazione del castello da roccaforte in residenza gentilizia e dallo smantellamento dei resti delle fortificazioni nella punta occidentale del paese ove la famiglia Corleto edifica il grande palazzo omonimo inglobando nella struttura le torri del perimetro fortificato e, tra la metà e la fine del secolo successivo, dalla edificazione di palazzo Guida, palazzo Di Gregorio e palazzo Damone.
Nei primi decenni del settecento con il regno di Carlo III di Borbone e Ferdinando IV, la monarchia napoletana tenta di riaffermare un disegno assolutistico limitando soprattutto lo strapotere baronale e, a scapito di questo, ampliare le prerogative e le giurisdizioni delle Università per le quali la rappresentatività politica è estesa dalle sole famiglie abbienti anche ai ceti produttivi. L'atto più illuminato del Borbone dopo il lungo viaggio nel Regno del 1735 resta la compilazione del primo catasto, ordinato nell'ottobre del 1740 con l'apprezzo di tutti i beni stabili, feudali ed ecclesiastici. A Miglionico il nuovo catasto compilato nel 1753 rivela la diffusione, accanto ai grandi patrimoni feudali ed ecclesiastici anche di una piccola e media proprietà. Se il latifondo baronale era molto vasto ed in particolare investiva i terreni ed i pascoli migliori, tutta la difesa di S. Vito(44), quello ecclesiastico al contrario non era molto esteso e, per la maggior parte era concentrata nelle mani del Capitolo1451 della Colleggiata ed aveva origine in donazioni di privati cittadini, nei legati dei prelati, negli acquisti e nella oculata amministrazione degli arcipreti della chiesa, e nei lasciti annessi ai benefici delle cappelle del Purgatorio, del Rosario, del Sacramento e delle chiese di S. Giacomo e della Madonna delle Grazie. Alcune piccole proprietà appartengono anche ai monasteri dei centri limitrofi: quello benedettino di S. Agata e Lucia a Matera, il monastero di S. Domenico a Ferrandina e l'Abbazia di S. Michele a Montescaglioso per la quale sono documentati alcuni possessi nel 1650 poi alienati nei primi decenni del settecento. Molto significativo a Miglionico anche un'altro aspetto relativo al patrimonio ecclesiastico, e cioè la presenza di una estesa proprietà urbana composta di case ed anche cantine date in affitto e la percezione da parte del clero di rendite provenienti dalla riscossione di censi apposti su numerosi patrimoni.
Lo sviluppo e l’espansione del centro storico alla fine del secolo XVIII, investe nelle residue due aree libere all'interno del perimetro murario con numerosi interventi di sopraelevazione, mentre nei primi decenni dell'ottocento l'area di insistenza della cerchia muraria subisce notevoli trasformazioni con la edificazione di abitazioni che man mano sostituiscono le mura crollate o demolite. Questa fase del processo di espansione e sviluppo del paese è alimentata dalle notevoli trasformazioni ed evoluzione della società seguite alle leggi abolitive della feudalità che con la quotizzazione dei demani e dei feudi, consentono l'accesso alla proprietà ad ampie fasce della popolazione.
Il possesso della Università di parte delle terre appartenute ai Revertera non è pacifico e sia le modalità di demanializzazione che di quotizzazione originano lunghe cause che si trascinano per decenni coinvolgendo anche gli ecclesiastici a causa delle proprietà possedute dal Capitolo della Colleggiata e della abolizione delle congrue e delle decime dovute al clero.
Con i provvedimenti del 1806 e 1808 l'amministrazione francese sopprimeva anche il convento francescano, antico noviziato della Provincia di Basilicata, ed il complesso era affidato al Comune che nel 1823 dopo le suppliche della popolazione e lunghe trattative con il Sottintendente di Matera e il Padre Provinciale dell'ordine riusciva ad ottenere il ritorno dei frati i quali erano nuovamente costretti a lasciare il convento dopo la abolizione degli Ordini religiosi seguita all'Unità d'Italia.
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